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Per centinaia di anni, dai tempi delle misurazioni di Tolomeo al sedicesimo secolo, in tutto il mondo occidentale si credeva che la Terra fosse il centro dell’Universo. Le stelle, i pianeti, la luna ed il Sole ruotavano attorno al nostro globo terracqueo, illuminandolo di luce e di calore.

Solo con il sedicesimo secolo si giunse alla comprensione che il nostro sistema fosse eliocentrico, ovvero con il Sole fisso; una delle prove più importanti a seguito della scoperta fu la spiegazione delle strane orbite nel cielo di alcuni oggetti che non si muovevano in semplici circoli come le stelle, ma tornavano indietro, acceleravano, rallentavano, producendo un moto caotico, inspiegabile. Proprio a causa di questo loro movimento, essi furono chiamati pianeti, ovvero viaggiatori in antico greco.
Nel corso dei secoli, scienziati tenaci hanno rivelato come ciascuno di questi mondi sia particolare ed unico, ma anche come ognuno di loro sia nato dalla stessa materia, i rimasugli della nebulosa che ha formato il Sole, quattro miliardi e mezzo di anni fa; la storia della loro formazione mostra come sin da subito i pianeti abbiano avuto parte attiva nell’evoluzione del sistema solare, e come anche i mondi più lontani abbiano potuto influenzare la nascita della vita sulla Terra.
Questa è la storia della nascita dei pianeti, gli abitanti più antichi di un grande impero, retto da una piccola stella gialla…

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Gli Dèi Vagabondi

Appena due milioni di danni dopo il collasso della nube primigenia, quando il Sole era ancora una protostella che si agitava negli spasmi della nascita, buona parte del disco di gas e polveri che lo circondava era andata dispersa, permettendo alla luce di passarvi attraverso, e si era raffreddato a sufficienza perché gli atomi che la componevano potessero raggrupparsi. Dapprima fu la semplice forza elettromagnetica e la condensazione ad unire insieme minuscoli atomi, uno ad uno, ma più i corpi da essi formati divenivano massicci, più la forza di gravità iniziava a farsi sentire. Fino al punto in cui prese il sopravvento, formando innumerevoli macigni cosmici che ruotavano attorno alla neonata stella a decine di chilometri al secondo. Con il tempo, queste rocce vaganti si unirono a formare agglomerati sempre più grossi, fino a che, poche migliaia di anni dopo la loro formazione, avevano raggiunto una dimensione di alcuni chilometri: i planetesimali.
Ma la loro massa accresciuta consentiva loro di attrarre sempre più gli altri corpi, e così via: come una serie di palle di neve cosmiche, ogni rotazione attorno al sole consentiva ai planetesimali di inglobarsi a vicenda, andando a costruire, in poche decine di migliaia di anni, nuclei di dimensioni simili a quelle delle Luna.

La materia orbitante nella nebulosa primordiale impiegò poche decine di migliaia di anni a raggrupparsi, formando prima grumi di qualche chilometro, e quindi, attraverso la semplice forza gravitazionale, nuclei di notevoli dimensioni, da cui sarebbero derivati i futuri corpi celesti.

Non tutta la materia del disco si stava unendo allo stesso modo. Più vicino al Sole, dove l’attrazione gravitazionale ed il calore erano maggiori, soltanto gli elementi più pesanti, come i metalli (soprattutto ferro e nichel) potevano condensare; più lontano, i silicati andavano formando delle rocce. Ma oltre una certa distanza, demarcata dalla linea del ghiaccio, poco più interna dell’attuale orbita di Giove, il freddo era sufficientemente intenso per permettere la formazione di ghiaccio d’acqua, ammoniaca e metano, la cui capacità di adesione è molto superiore.

Pertanto, a partire dalla linea del ghiaccio il processo di accrescimento lavorava a ritmi molto più accelerati; ciò, unito all’abbondanza di materiale, consentì ad un particolare protopianeta di crescere fino ad una massa circa 15 volte quella della Terra, e di avvolgersi in strati sempre più pesanti e densi di gas e polveri, soprattutto idrogeno ed elio, raggiungendo dimensioni enormi nel corso di poche centinaia di migliaia di anni.
Ma a questo punto, il Sole entrò nella fase T-Tauri, e il neonato vento solare spazzò via i rimasugli della nube, sottraendo al nuovo pianeta gigante, Giove, il materiale con cui crescere ancora; stessa sorte toccò agli altri pianeti, più lontani ancora dalla stella e quindi più freddi, costretti ad una minore velocità di aggregazione. Quando il vento solare disperse il gas e la polvere, il gigante più lontano era riuscito a raggiungere meno di un terzo della massa del suo cugino più grande.

Nel corso di altre centinaia di milioni di anni, i protopianeti erano cresciuti abbastanza da inglobare buona parte della materia della nube primordiale. La sua scomparsa ad opera del vento solare bloccò lo sviluppo dei giganti gassosi, premiando Giove e penalizzando Saturno. Urano e Nettuno poterono sfruttare soltanto i rimasugli di idrogeno ed elio prima che essi scomparissero per sempre.

Agli estremi del neonato sistema solare, le cose non stavano andando altrettanto bene che per Giove e Saturno. Ai confini esterni, Urano e Nettuno erano riusciti a creare un nucleo di roccia e ghiaccio delle dimensioni simili a quelle della terra, e a ricoprirlo di metano, elio ed idrogeno, nel corso di alcuni milioni di anni. Quando il vento solare disperse il gas, i due pianeti erano riusciti a crescere molto poco rispetto ai loro cugini interni, creando atmosfere meno estese e più dense: in un certo senso, rimanendo “nudi” senza gli strati esterni dell’atmosfera. Giganti di ghiaccio più che giganti gassosi.

Nel frattempo, molti dei planetesimali non aggregati vennero lanciati fuori dal sistema solare sotto la spinta gravitazionale dei quattro pianeti formati; mentre altri corpi, più fortunati, erano riusciti a raggiungere una massa sufficiente a ricostruire in piccolo lo stesso meccanismo dei pianeti, orbitando non attorno al Sole, ma ai loro genitori: i satelliti regolari. Le prime a formarsi furono le lune di Giove, Io, Europa, Ganimede e Callisto, osservate per la prima volta da Galileo; fu poi la volta otto principali di lune di Saturno, tra cui l’unica capace di mantenere un’atmosfera, Titano. I satelliti di Urano e Nettuno impiegarono più tempo a formarsi, proprio come gli stessi pianeti, in regioni in cui l’energia scarseggiava.

Tuttavia, entro dieci milioni di anni dal collasso della nube planetaria, le regioni esterne del sistema solare erano pressappoco complete ed ormai quiete. Più vicino al Sole, le cose non stavano andando altrettanto lisce.

Ci volle ulteriore tempo perché i pianeti esterni ottenessero i satelliti, replicando su scala ridotta il proprio processo di formazione. Ma entro dieci milioni di anni questa zona del sistema solare possedeva un aspetto molto simile a quello di oggi.

Nelle regioni più interne, vicino al sole, la nube cosmica aveva avuto temperature molto superiori, anche di migliaia di gradi, e questo aveva concesso che solo elementi pesanti, come metalli e rocce, si condensassero; di conseguenza, il materiale primo da cui si formarono i pianeti interni era assai meno abbondante di quello attratto dai giganti gassosi. Ed anche il tempo di aggregazione crebbe esponenzialmente; soltanto le prime fasi di formazione, quando i protopianeti terrestri stavano facendo la loro comparsa, la rapidità del processo era rapida; ma il vento solare spazzò via la maggior parte della materia, e, con una massa molto inferiore, i pianeti interni dovettero attendere molto più tempo perché la gravità facesse il proprio lavoro, attirando a sé un corpo dopo l’altro.

Al momento in cui le regioni esterne erano giunte alla maturità, all’incirca dopo dieci milioni di anni, vicino al Sole erano rimaste solo quattro sfere principali, i protopianeti di Mercurio, Venere, Marte e della Terra; ma mano a mano che esse crescevano, diminuiva la scorta di frammenti superstiti, contesi tra le corrispettive tensioni gravitazionali, così che il ritmo di crescita rallentò ancora di più, misurandosi in decine e forse addirittura in un centinaio di milioni di anni. La maggior parte della materia presente fu aggregata nel terzo pianeta e nel secondo, mentre Marte ne ottenne alla fine appena un decimo, e Mercurio ancora di meno.

Le ultime fasi della formazione provocarono almeno due eventi catastrofici: la collisione tra protopianeti per il predominio dell’orbita. Il primo caso avvenne tra il proto-Mercurio, che all’epoca dell’impatto era più di due volte più massiccio, ed un altro protopianeta grande circa un sesto; l’impatto avrebbe disperso gran parte della sua massa nel cosmo, lasciando il pianeta molto più piccolo, freddo e ricco di metallo.

Assai più violento fu lo scontro tra la Terra ed un planetoide chiamato Theia, avvenuto nelle prime fasi della sua formazione. Theia era molto più grande del protopianeta che aveva impattato mercurio: circa le dimensioni di Marte; per cui, le conseguenze furono più estreme. Il materiale sollevato nell’esplosione non fu disperso nello spazio, ma si compattò a formare la Luna, ed il nucleo ferroso si fuse con quello della Terra, riportando indietro lo sviluppo del pianeta di milioni di anni.

Anche quando il pianeta si compattò di nuovo, le cose non smisero di farsi interessanti. I giganti gassosi avevano in serbo una grossa sorpresa per le zone interne del Sistema Solare.

Lo sviluppo dei pianeti interni fu molto più lento e travagliato di quello dei giganti gassosi. Nelle sue fasi finali, un centinaio di milioni di anni dopo che le zone esterne erano del tutto formate, avvennero scontri tra protopianeti per il dominio delle orbite. In almeno due casi, quello di Mercurio e della Terra, gli impatti furono particolarmente catastrofici, cambiando per sempre la storia del sistema solare.

In questa fase, Urano e Nettuno erano molto più vicini al Sole di quanto non lo siano oggi, ed erano avvolti da una fascia di asteroidi e comete simile a quella tra Marte e Giove. I giganti di ghiaccio furono costretti a migrare quando Saturno e Giove entrarono in una risonanza orbitale, posizionandosi sulla stessa verticale una volta per orbita: la risonanza gettò nel caos la nube di comete e l’orbita di Nettuno, che prese una forma a spirale e si allontanò dai suoi cugini maggiori, attraversando più volte la nube di comete e inviandone a milioni nelle regioni interne.

Molte furono catturate dai campi gravitazionali di Urano, anch’esso attratto dalla migrazione di Nettuno, Saturno e Giove, ma altri milioni ricevettero un’aiuto dalla gravità, acquistando un’accelerazione incredibile che le spedì ad estrema velocità verso i pianeti rocciosi.
E ad attendere la pioggia di meteoriti, il Tardo Bombardamento, c’era anche la giovane Terra.
Per milioni di anni, la sua superficie, così come quella degli altri pianeti interni, fu colpita da bolidi vaganti, producendo esplosioni talmente violente da sciogliere del tutto la sua superficie; l’effetto fu quello di far attraversare alla Luna e ai pianeti terrestri continue fasi alterne di scioglimento e solidificazione, che fecero affondare i materiali più pesanti: ferro e nichel, gli stessi formatisi per condensazione centinaia di milioni di anni prima, nei pianeti, rocce dalla densità maggiore nella Luna. La pioggia di comete portò anche un composto molto particolare sulla superficie della Terra e di Marte, e forse anche quella di Venere: l’acqua. Una parte degli oceani che oggi avvolgono il nostro pianeta è stata originata dal Tardo Bombardamento.
Dopo più di un miliardo di anni, nel frattempo, le orbite di Nettuno e Urano avevano trovato un nuovo equilibrio; dispersa la nube di comete, che migrò verso regioni più tranquille dal punto di vista gravitazionale, anche l’interno del sistema solare trovò un periodo di relativa quiete. La pioggia di comete e asteroidi diminuì d’intensità fino a raggiungere un ritmo costante, molto meno frequente di quello sperimentato fino ad allora. Ma il meglio doveva ancora venire.

Il Tardo Bombardamento segnò l'inizio della fase adulta del sistema solare interno, in cui ciascuno dei quattro pianeti rocciosi avrebbe seguito una propria evoluzione e storia personale.

Se per i miliardi di anni a venire i giganti gassosi dovevano conoscere pochi mutamenti di rilievo, i pianeti terrestri stavano entrando nella fase più interessante della loro esistenza. Nei successivi milioni di anni, ognuno dei quattro pianeti interni – Mercurio, Venere, Marte e la Terra – avrebbe attraversato un’evoluzione unica e affascinante, che avrebbe distinto i mondi morti dai mondi vivi.

Abbiamo visto come il meccanismo di formazione per concentrazione di materia accomuni, su diverse scale di grandezza e di tempo, galassie, stelle, pianeti e satelliti; un’altro esempio di come le leggi della fisica ci connettano all’universo.

Nella prossima puntata, osserveremo invece le differenze sviluppatesi con il tempo di questo sistema di base, l’evoluzione successiva degli dèi vagabondi del sistema solare.

Approfondimenti

Qui trovate il Modello Nizza, ovvero la teoria che spiega il Tardo Bombardamento con la migrazione dei pianeti.