Il terzo manuale di scrittura della mia lista è su come scrivere un romanzo dannatamente buono. Il titolo sembra promettente, e in effetti, anche se certe cose iniziano a diventare ripetitive, ci sono alcune interessanti novità.
Vediamo quali sono, queste novità.
Il concetto più interessante con cui mi sono trovato a che fare è stato quello di premise, ovvero tema, idea basilare, premessa. Il fantomatico “messaggio”, anche se nell’accezione usata dall’autore assume un significato del tutto diverso e proprio, ovvero quello di “sunto” estremo del romanzo: se si dovesse prendere un romanzo e descriverlo in una frase, dice Frey, quella frase sarebbe la premessa. E consiglia di tenerla sempre presente, in quanto tutto ciò che facciamo, dall’inizio alla fine della scrittura, serve per dimostrare quella premessa. Facciamo l’esempio di Canto di Natale di Dickens: la premessa è: “l’introspezione forzata porta alla salvezza” e tutto il romanzo è giocato sulla sua realizzazione. Questo concetto sembra davvero molto interessante, perché porta ad avere un filo rosso che unisca tutte le scene dall’inizio alla fine, e dunque aumenta coesione, intensità e godimento della lettura.
L’altro concetto che è sempre stato presente in tutti i manuali che ho letto, ma che qui è spiegato benissimo, è quello del conflitto. La novità sta nella cura con cui viene mostrata la ragione di procedere per gradi, alzando il conflitto poco a poco fino alla risoluzione nel climax, utilizzandolo non solo nelle scene chiave, ma per tutto il romanzo. L’idea di utilizzare ogni parola, ogni frase ed ogni scena per stare abbarbicati alla premessa e alla costruzione del conflitto è davvero affascinante.
C’è poi un intero capitolo dedicato alla stesura della prosa, che è davvero utile, in cui viene mostrato passo passo come stimolare tutti i cinque sensi, come utilizzare frasi brillanti, come creare, insomma, una prosa più che funzionale.
Accanto a queste tre perle, il resto del libro è piuttosto ordinario, e se si eccettua il capitolo finale, non molto differente dagli altri manuali che ci sono in giro. Negli ultimi due capitoli, però si affrontano un paio di temi interessanti: il primo è quello delle recensioni, ovvero della difficoltà per un autore di ottenere feedback autentici, ed è molto interessante con Frey spieghi che si sono tre tipi di feedback: quello amichevole (leccaculo), quello letterario (snob) e quello distruttivo, secondo lui il solo veramente utile. In effetti, mi trovo abbastanza d’accordo: quelle che sono definite autopsie letterarie (rivoltare un romanzo da capo a piedi in cerca del minimo errore, a costo anche di prendersela con l’autore) possono essere utili perché mostrano dove sono i problemi, uno ad uno.
Ciò che impedisce loro di funzionare, qui da noi, è che questa critica spietata, ma onesta, tende a decadere nel “tutto è merda”, di fatto eliminando qualunque possibilità di sviluppo e miglioramento. Ma come si fa ad ottenere revisioni l’un l’altro (tra gli autori) senza cadere nella trappola dell’amicizia?
La seconda considerazione è sulla pubblicazione: Frey dice platealmente che se non si ha pubblicato non si è scrittori – fornisce anche tutta una serie di consigli che a me sono sembrati piuttosto buffi, sul rapporto editor-scrittore, in cui consiglia di richiedere la lettura immediata entro un mese (!) oppure evitare anche solo l’invio del manoscritto.
Sono cose che, confrontate con la spaventosa situazione italiana, fanno sorridere, ma di un riso amaro. Resta aperto un interrogativo: con la pubblicazione, dice Frey, si passa di grado perché si pubblica solo ciò che vale. Questo è un principio che è andato perduto, da tempo. Come fare a recuperarlo nel mondo degli ebook, dell’auto-produzione, della libertà massima concessa da internet?
Forse nei prossimi tempi troveremo una risposta…
Nel frattempo, potete trovare il manuale qui, come sempre su library.nu.
Il Guardiano ha detto:
Sul blog di McNab (o di Benuzzi? non mi ricordo) ho spiegato come la penso:
se il libro è pubblicato da una casa editrice ed è a pagamento, allora si può essere critici fino alla pignoleria.
Se uno scrittore impiega il suo tempo in un romanzo e poi lo regala e tu alla decima pagina ti accorgi che è una cagata, butti (o cancelli) il libro e al massimo hai perso una mezz’ora (tempo che perderesti comunque per leggere le recensioni di un libro che hai intenzione di comprare).
Se invece uno scrittore pretende di essere pagato (e magari 20 euro) allora hai tutto il diritto di fare una autopsia. Che lo voglia o no.
Dal canto mio, se io dovessi scrivere pretenderei una autopsia anche per una storia non a pagamento di 10 pagine.
Con una recensione sommaria posso capire se un libro è stato gradito o meno, posso capire che “in generale” ci sono delle cose che non vanno e altre si. Ma con “qualche infodump qui e lì io (lettore) potrei intendere una cosa, tu (scrittore) un’altra. Magari io mi riferisco a qualcosa che tu ritieni che stia benissimo dove sta. E il tuo miglioramento, al prossimo libro, è un peggioramento ai miei occhi.
Ma va bene lo stesso, alla fine, se uno scrive per passione e non perché vuole farne un mestiere.
Comunque anche io ho trovato “how to write a damn good novel” interessante.
E se ti può interessare (anche se sto avendo poco tempo per continuare a leggerlo), la seconda parte di “writing fiction for dummies” è fatta meglio ed è molto più pratica. In quest’ultimo manuale il “come farsi pubblicare” è stato messo all’inizio, mentre in “how to write…” alla fine, rendendolo più leggibile.
Shaggley ha detto:
Uhm… allora l’autopsia letteraria diventerebbe una specie di forma di “vendetta” contro l’autore? Io ho speso venti euro per un libro che fa schifo e quindi mi vendico sezionandolo?
No, è proprio questo che non capisco. L’autopsia non deve essere una vendetta (se no diventa un’arma, e chiunque possa utilizzarla ottiene del potere, che deve rimanere confinato alla critica, non al critico) secondo me deve essere una forma di critica molto specifica, anche feroce, ma che ha lo scopo di mostrare per bene tutti gli errori e far capire dove si sbaglia. In questo senso, e solo in questo, le sostengo.
E poi, facciamo autopsie giusto nel momento in cui entrano i soldi? Mmmm…
Sul resto, ovvero sul pretendere autopsie anche per un racconto di dieci pagine, hai perfettamente ragione. Il problema è che entrano in gioco fattori personali (simpatie, antipatie, eccetera) e fattori di competenza (non ha senso fare un’autopsia se non si sa dove guardare, si rischia di combinare un pasticcio: è anche per questo che non le faccio, non ho ancora abbastanza esperienza) che sono difficili da imbrigliare in una struttura.
Oddio, io un’idea ce l’avrei, ma devo vedere se è fattibile.
Su Writing Fiction For Dummies… se dici così, ci darò un’occhiata allora, dopo quello che sto leggendo adesso! 😉
Il Guardiano ha detto:
Non intendevo per vendetta.
Faccio un esempio per capire meglio:
C’è un gruppo di genitori che abita in un paesino e deve mandare i figli a scuola con l’autobus.
L’amministrazione comunale non se ne occupa quindi si rivolgono a un gruppo di volontari che a, gratuitamente, usano il proprio tempo per fare un servizio utile. Se qualche giorno il bus farà ritardo o se non potrà andare a prendere i mostriciattoli, ci si può lamentare? Qualche malumore, forse.
Se invece il servizio se lo fanno pagare profumatamente, permetti che ricorro a tutti i mezzi che ho per “tutelarmi”?
Il prendere soldi per un libro ti qualifica come “servizio a pagamento” e non come “volontariato”.
Se io a lavoro sgarro, vengo cazziato.
Se uno scrittore a pagamento sgarra, non deve essere “cazziato”?
È un mio diritto criticare quello che non mi è piaciuto. Penso sia naturale e faccia parte del gioco.
Poi naturalmente critica non vuol dire “tutto è merda”.
Shaggley ha detto:
Capisco il tuo discorso, ma l’autobus non è un buon esempio per quello che voglio dire, perché il pilota dell’autobus non istruisce i bambini.
Cioè.
La critica, io credo, ha la funziona di venire prima della letteratura (sento cori di sdegno). La critica ha anche lo scopo di, ehm, criticare, ovvero esprimere un giudizio su ciò che recensisce. A seconda dei rapporti di forza tra l’oggetto della recensione ed il critico (da un blogger sconosciuto chiamato Shaggley che recensisce The Thing a, poniamo, Stanley Fish che recensisce un romanzo di fantasy italiano), la critica ottiene un potere enorme nel determinare il successo o il fallimento di un’opera, di un autore, di un genere.
E qui di solito cito i soliti Lovecraft e van Gogh.
Insomma, quello che a me preoccupa non sono le autopsie letterarie, ma il loro uso, che può avere conseguenze pesantissime. Senza dubbio è in nostro potere criticare quello che non ci è piaciuto.
Diamine, è un dovere!
Ma le conseguenze di questa critica possono essere assai pesanti.
E alla lunga, conducono al “tutto è merda”.
Secondo me i soldi sono solo un valore aggiunto alla cosa. Grande, senza dubbio, perché sono discriminanti, ma comunque un valore aggiunto.
Il Guardiano ha detto:
Dimenticavo.
Non conoscere le regole e quindi non essere esperto ti impedisce di poter fare una autopsia?
Mi sembra una contraddizione con quello che viene ripetuto spesso: le regole sono solo guide, non leggi.
E chi dà, ad un certo punto, la patente di esperto?
Sta solo allo scrittore, se è intelligente, capire quali sono le critiche costruttive e sfruttarle.
Se lo scrittore è un capra, e segue consigli idioti, allora si merita il “pasticcio”.
Shaggley ha detto:
Uhm, no non mi sono spiegato bene, temo.
Io intendo le autopsie letterarie proprio come una lenta e dolorosa sezionatura dell’opera (qui c’è un verbo al gerundio ma andava un congiuntivo, manca una virgola eccetera). Il problema è che, come un chirurgo poco esperto non sa distinguere un rene, poniamo, da una grossa patata scura, un blogger che ha una certa esperienza come scrittore può non avere ancora gli strumenti per analizzare a fondo un’opera – e quindi non può fare un’autopsia letteraria.
La patente di esperto non esiste, ma nel caso di una critica serrata, bisogna avere anche una certa esperienza, altrimenti la critica stessa va a farsi benedire.
Spero di essere stato più chiaro.
Ad ogni modo, Guardiano, hai detto pochi articoli fa che non ti interessa scrivere un romanzo. Posso sapere il perché di questo tuo interesse per le regole ed i manuali?
Angelo Benuzzi ha detto:
I manuali di scrittura sono interessanti fino a che rimangono sul tecnico. L’entrare nel mercato italiano o come gestire l’attività di autoproduzione qui da noi è territorio che per un americano è puro horror e consiglio di evitare quelle parti in tutti i manuali.
Devo dire che non ho ancora visto un libro del genere che metta pesantemente l’accento sulla necessità di scrivere in un corretto italiano (o inglese).
Shaggley ha detto:
Benvenuto su Regola per Sopravvivere, Angelo!
A proposito, grazie a tutti dei commenti, mi fa piacere vedere delle discussioni interessanti.
Sulla prima cosa c’è da dire che hanno delle regole del mercato (o almeno le avevano negli anni 80, il libro è del 1987) molto diverse dalle nostre, in cui tutto è cristallizzato in una mediocrità allucinante.
Pazienza, se non ci vogliono fare entrare li divoreremo dall’interno.
Sullo scrivere in corretto italiano… dovrebbe essere una conditio sine qua non.
Ma dopotuto non sembra cos i inportamte.
Il Guardiano ha detto:
Mai criticato i congiuntivi, li puoi criticare se sei un esperto (o comunque ne capisci) di italiano. Lì, al contrario dei manuali, ci sono delle vere e proprie regole e non si può mica andare a gusti.
Posso dire che un infodump è pesante, e può essere una mia opinione.
Ma un congiuntivo è quello. Mica puoi dire mi piace o no.
Il Guardiano ha detto:
Ad ogni modo, Guardiano, hai detto pochi articoli fa che non ti interessa scrivere un romanzo. Posso sapere il perché di questo tuo interesse per le regole ed i manuali?
Ho dimenticato di rispondere a questa domanda; capita quando usi uno schermo piccolino come quello di un iphone.
Comunque interessarsi di storia non vuol dire mica fare l’archeologo. ^_^
Leggere e storcere il naso senza rendersi conto del motivo lo trovo limitante.
Leggere e capire che quel determinato passo mi ha annoiato/lasciato perplesso/divertito/appassionato/e-via-dicendo per quel motivo è cosa buona e giusta ^_^
Shaggley ha detto:
Cosa buona e giusta davvero. 😉
Il Guardiano ha detto:
Comunque mi chiedo come mai nessuno abbia pensato a tradurre questi manuali in italiano…
Sarebbe interessante farlo. Peccato che non ne capisco abbastanza da poter fare un qualcosa di decente ^_^