Il 26 aprile del 1986, durante un test volto a rendere la centrale nucleare di Chernobyl più sicura, il reattore numero 4 esplose in una conflagrazione che svegliò nel cuore della notte gli abitanti della vicina città di Pripyat, costruita proprio per i lavoratori della centrale. Molti si affacciarono per osservare i giochi di luce che avvenivano sopra i resti del reattore 4.
L’ordine di evacuazione della città fu emanato il giorno dopo, parlando di un “lieve incidente”, che avrebbe allontanato le persone solo per qualche settimana; c’era solo il tempo di prendere gli effetti personali ed andarsene. Anche per la natura del messaggio di evacuazione, la maggior parte degli oggetti in uso a Pripyat fu lasciata dov’era.
La gente non tornò più: la nube di cesio-137 aveva contaminato la zona in maniera letale. A parte i visitatori, alcune centinaia di anziani e sciacalli disperati, anche negli anni successivi nessun piede umano toccò il suolo di Pripyat, una città sospesa nel tempo.
Le parole non possono raccontare una simile storia. Lascerò che a parlare siano alcune immagini.
Ancora oggi, da qualche parte a Pripyat, c’è una lavagna. Sulla lavagna, la scritta: “Non torneremo più.”
Se volete osservare altre foto di Pripyat, qui c’è un enorme archivio di più di 2000 immagini.