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Il 26 aprile del 1986, durante un test volto a rendere la centrale nucleare di Chernobyl più sicura, il reattore numero 4 esplose in una conflagrazione che svegliò nel cuore della notte gli abitanti della vicina città di Pripyat, costruita proprio per i lavoratori della centrale. Molti si affacciarono per osservare i giochi di luce che avvenivano sopra i resti del reattore 4.
L’ordine di evacuazione della città fu emanato il giorno dopo, parlando di un “lieve incidente”, che avrebbe allontanato le persone solo per qualche settimana; c’era solo il tempo di prendere gli effetti personali ed andarsene. Anche per la natura del messaggio di evacuazione, la maggior parte degli oggetti in uso a Pripyat fu lasciata dov’era.

La gente non tornò più: la nube di cesio-137 aveva contaminato la zona in maniera letale. A parte i visitatori, alcune centinaia di anziani e sciacalli disperati, anche negli anni successivi nessun piede umano toccò il suolo di Pripyat, una città sospesa nel tempo.
Le parole non possono raccontare una simile storia. Lascerò che a parlare siano alcune immagini.

 

 

 

La foresta vicino a Pripyat, chiamata "Foresta Rossa" per il cambiamento insano di colore delle foglie dopo l'esplosione del reattore. Ancora oggi, i livelli di radiazioni nella foresta sono pericolosamente elevati.

 

 

 

Fu abbandonato tutto nello spazio di un istante, a Pripyat. Le sedie capovolte, oggetti dimenticati sul ripiano, gli specchi lasciati a riflettere ombre immobili.

 

 

 

Le attrezzature mediche degli ospedali dovettero essere fermate. Le luci si spensero, la vernice sui muri si gonfiò.

 

 

 

A Pripyat vivevano circa 17000 bambini, più di un terzo della popolazione. Queste panchine mangiate dalla ruggine sono ciò che resta del parco divertimenti, di cui resta anche la forma della ruota panoramica, che si erge come un occhio sul nulla.

 

 

 

Oggi, Pripyat è il regno degli animali che ancora scorrazzano per una città che sta venendo poco a poco mangiata dall'interno dalle piante.

 

 

 

Per la maggior parte, tuttavia, la città resta vuota e silenziosa, muta testimone dell'abbandono e delle conseguenze del 26 aprile 1986. Una carcassa che aspetta di crollare su se stessa.

Ancora oggi, da qualche parte a Pripyat, c’è una lavagna. Sulla lavagna, la scritta: “Non torneremo più.”

Se volete osservare altre foto di Pripyat, qui c’è un enorme archivio di più di 2000 immagini.